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Farmacisti e farmacie di Molfetta. Gli inizi. - Parte Prima


Farmacisti e farmacie di Molfetta. Gli inizi. - Parte Prima MOLFETTA 01/10/2025

Le più vecchie norme di legge che disciplinano la farmaceutica sono gli “Statuti della città di Arles” (1162-1202), l’Ordinanza Medicale (1240) di Federico II di Hohenstaufen, imperatore di Germania e sovrano del regno di Sicilia, ed il Capitolare dei Medici e Speziali di Venezia (1258).

In quelle di Federico II si trova una importante disposizione che riguarda «la concessione e privilegio dell’esercizio della farmacia». In essa è espresso chiaramente che solo i farmacisti, previamente sottoposti a giuramento, potevano ottenere l’autorizzazione ad aprire ed esercire una farmacia. Federico II separò i medici dai farmacisti. Fu vietato ai medici di preparare medicamenti e fissò i regolamenti per l’apertura delle farmacie.

Siamo lieti di condividere con Voi una ricerca di grande valore storico e culturale, approfondita e unica nel suo genere, realizzata dal nostro amico Cav. Corrado Pisani, dedicata ai Farmacisti e alle Farmacie storiche della città di Molfetta. Questo studio, frutto di passione e meticolosità, rappresenta un importante contributo alla memoria collettiva della nostra comunità.

Grazie alla collaborazione con l’Associazione Oll Muvi, il documento è ora disponibile sul sito www.ilovemolfetta, affinchè possa essere letto, apprezzato e tramandato. Un gesto concreto per preservare le radici della nostra storia e renderle accessibili a tutti

Nel Quattrocento il farmacista si chiamava speciarus, e più comunemente, aromatarius, aromatario. Il primo termine indicava il venditore o negoziante di droghe e di spezie, ossia lo speziale o speziale manuale, come si chiamava sino alla metà del secolo scorso. Ancor oggi il nostro dialetto annovera il sostantivo speciaràje che indica la farmacia (vedi pag. 132 del Lessico dialettale molfettese-italiano della prof. Rosaria Scardigno edito nel 1903).

Sempre nel XV secolo, il medico era chiamato “dottore in medicina” (medicine doctor) o “dottor fisico” (doctor phisicus) o semplicemente “fisico” (phisicus). Il dottore assumeva il titolo di “maestro” (magister), titolo che veniva dato anche al chirurgo (cirugico o girucico).

I primi documenti che rivelano la presenza a Molfetta di “farmacisti” risalgono alla metà del XV secolo. L’Università, molto probabilmente, corse a inserire questa figura professionale necessaria per il benessere dei propri cittadini dopo il 1449, anno nel quale la peste infierì sulla riviera che va da Barletta a Giovinazzo.
Nel 1461, per atto di notar Pascarello de Tauris di Bitonto, il medico chirurgo (magister cirurgicus) Nicolaus Angelus de Angileo de Melficta, figlio di Petrello, si obbligava di comprare 22 oncie certorum aromatarum cum vasis et instrumentis ad exercitium aromatarie.

Il 29 luglio 1464, per atto del medesimo notar Pascarello di Bitonto, Nicola di notar Leucio di Molfetta prometteva di pagare a Ughetto (figlio del defunto) magistro Mactheo, aromatario di Bitonto, tre oncie e dieci tarì di carlini d’argento per la vendita di certi medicinali (pro venditione certarum rerum aromatarum).

Un atto notarile datato 8 settembre 1484 registra la presenza in città di Johanne Spina aromatario. Per altro atto dell’11 febbraio 1486 tale Franciscus de Mininno dicto Terlizzo promise di dare a Johanne Spina e Bernardino Monno tarenos decem pro tantis rebus per eum receptis ab eorum apotheca aromataria. Per testamento 18 novembre 1508(07) Giovanni Spina, marito di Nottula de Gadaleta (figlia di Antonio de Gadaleta e Vella de Lillo de Nicolao Mia ossia Colamia), figlio dei defunti Angelo Spina de Coppuleghia e Tectula de Gadaleta, istituì suoi eredi i fratelli Joannes Conte Gadaleta e Antonello Gadaleta ed anche Nicola Spina. Inoltre, ad ognuno di loro donò 10 onze. Nello stesso documento dichiarò che Francesca olim sua moglie aveva costituito con Francesco Caccabo società in una speziaria. Giovanni Spina fu colui che diede nome al latifondo rurale chiamato “la macchia di (ser) Joanne Spina”, situato di fronte il Casale di S. Primo.

Nel 1509 Francesco Caccabo, genero della vedova di Eugenio Coccharj, era proprietario di una “apotheca aromataria”. Nel 1511 in città rileviamo la presenza dell’aromatarius Petro Granata (o de Granato), deceduto prima del 1523. Nel quinquennio 1519-23 si aggiunsero altri tre “aromatarius” chiamati Gentile de Nino (o de Vino), Joanne Andrea de Judices e Cesare (genero di Joannes de Guzono). Nel periodo 1523-35, Angelella de la Menta vedova dell’aromatario Petrus de Granata era proprietaria di una «apoteca in platea puplica», adiacente alla casa di Andreula de Andreula. Nel 1526 ritroviamo ancora l’aromatario Francesco Caccabo. Nel 1535 si registra Paris de Trahecta (o Trayecta) di Bitonto. Nel 1538 Antonio Andrea de Stephano. Nel 1542 a Paris de Trahecta si aggiunsero Nicola Antonio de Elettis (oriundo di Cava dei Tirreni), Valentino Romano di Marco Antonio (oriundo di Tramonti) e Rogerio Rubeus (o de Russis).

Il Catasto di Molfetta del 1561 registra l’esistenza in città degli “aromatarium” Francesco de Judice (di anni 35) e Orazio de Elettis di Nicola Antonio (di anni 38) e degli “speciali” (speziali) Modesto de Judice (di anni 43, proprietario di una potega ad la piaza publica de Molfecta), Angelillo de Angileis di Colella (di anni 45) e i già citati Valentino Romano (di anni 49) e Rogerio de Russis (di anni 45, possiede ad la piaza dela cita de Molfecta una poteca).

Di questi sei artigiani una nota particolare va dedicata a Orazio de Elettis – Cava dei Tirreni, nato 1523 ca. - Molfetta, morto 21 novembre 1605(04) – che, oltre ad esercitare la professione di speciale, era proprietario di una casa con “poteca” dove svolgeva l’attività “aromatariam” L’immobile era posto nella “strada delli Preiti” e sottoposto a un “censo” da versare ad lo hospitale. Egli, nel triennio 1586-88, fece edificare nella chiesa di San Bernardino la sua cappella gentilizia dedicata in onore della Concezione della Beata Vergine Maria e poi commissionò al pittore Nikola Lazanić (dell’isola di Brazza) la tela/pittura a olio ivi presente, realizzata nel 1589, che rappresenta l’Immacolata Concezione tra i Santi Giovanni Battista e Francesco d’Assisi, la Trinità e i due committenti (lo stesso Orazio de Elettis e Nunzia Santa de Lupis, sua seconda moglie).

La prima norma di legge che iniziò a regolamentare i compiti spettanti agli “speziali manuali detti droghieri” nel Regno di Napoli fu la Prammatica emessa il 14 luglio 1581. Un secolo più tardi, il 17 settembre 1706 fu pubblicata un’altra Prammatica che stabilì la «distanza, che si debbe frapporre tra una novella spezieria che si vuol fondare nel recinto di Napoli, e le spezierie contigue, precedentemente fondate» e il «metodo per conoscere tale distanza». La stessa stabiliva: «Che alcuno non possa fondare una nuova spezieria in qualunque sito di questa capitale, senza averne chiesto preventivamente il permesso all’Ufficio del Regio Promedicato del Regno, il quale allora accorda siffatto permesso, quando risulta da misura legale, di cui s’incarica il collegio degli speziali, che il luogo, ove si vuole situare la nuova spezieria, è distante per settanta passi dalle spezierie contigue». Il successivo Rescritto ministeriale del 27 agosto 1810 precisò che «La misura della distanza tra spezieria e spezieria allorchè si tratta di fondarne una nuova, va presa tra la porta d’ingresso principale dell’antica con la nuova da formarsi».

Nel biennio 1752-53 la nostra Città ospitava quattro “speziali di medicina” chiamati Arcangelo Jovino di Torre del Greco (figlio di Onofrio Giovino e Penza Jacobellis), Corrado Caniglia di Bitonto, Ludovico Epifani di Carovigno e Vincenzo Romano di Napoli (titolare di due “speziarie di medicamenti”).

Il 4 maggio 1761 Antonia Caniglia, sorella ed erede del defunto speziale di medicina Corrado Caniglia, era titolare di una spezzeria che decise di vendere, con droche, arredi, gioie e vasi in essa contenuti, allo speziale Arcangelo Jovino di Torre del Greco.

Il 22 dicembre 1806 fu rogato un atto nel quale venne riportato un elenco di arredi ritrovati in una “spezieria di medicina”. Due anni dopo (3 febbraio 1808) ritroviamo altro atto notarile di “venditio pharmacopolii”. Il 12 marzo 1812 mastri falegnami promisero di costruire scaffali per una spezieria.

Nel settennato 1811-17 i registri dello Stato civile certificano la presenza in città di quattro “speziali di medicina”:
1) Francesco de Donato (Molfetta, n. 10 febbraio 1785 - Saline di Barletta, m. 21 giugno 1859), figlio dei coniugi biscegliesi Dottor Cerusico e Fisico Mauro de Donato e di Maddalena de Pasquale, marito di Maria Teresa Tabacco. Francesco de Donato sino al 1815 abitò in Molfetta, poi si trasferì a Margherita di Savoia.
2) Mauro Pappagallo (n. 1793 ca. - m. 19 gennaio 1874), figlio di Pantaleo Pappagallo fu notar Donato e di Pasqua Rosa Fornari, marito di Chiara Nisio;
3) Giambattista Poli o Giovanni Battista Poli (n. 10 dicembre 1794 - m. 5 aprile 1845), figlio di Giuseppe Poli e di Pasqua Pappagallo, primo marito di Beatrice Durazzini e poi di Maria Teresa Matera;
4) Giuseppe Salvemini (n. 18 dicembre 1789 - m. 22 novembre 1824), figlio di Sergio Salvemini e di Marianna Candida, marito di Liboria Capelluti.

Il Catasto Urbano di Molfetta del 1823 certifica la presenza in Città di alcuni immobili iscritti come “bottega per uso di spezieria” e di proprietà dei seguenti signori:

- Vincenzo Ribera (n. 11 luglio 1775 - m. 10 luglio 1828), proprietario, figlio di Emanuele Ribera e Caterina de Ruvo, marito di Elisabetta Cozzoli. Locale posto alla strada Amente n. 1;
- farmacista Nicola Epifani (n. 19 aprile 1764 - m. 27 gennaio 1824), figlio di Ludovico Epifani di Carovigno e Rosa Paladino di Grumo. Locale posto al Borgo n. 69;
- speziale Giuseppe Salvemini. Locale a Largo S. Angelo n. 51;
- Francesco Salvemini (muratore). Locale a strada S. Angelo n. 62;
- Luigi Rossi (n. 21 luglio 1759 - m. 21 giugno 1846), gentiluomo, figlio di Giuseppe de Rossi e Cecilia Farucci di Bisceglie. Locale posto alla strada Piscina Comune n. 4;
- speziale Francesco de Donato. Locale posto alla strada Piscina Comune n. 72;
- speziale/farmacista Giuseppe Pappagallo (n. 1786 ca. - m. 18 ottobre 1848), figlio di Pantaleo e Geronima Visaggio, marito di Maria Luigia Mancazzi. Residenza strada Cappuccini numeri 12÷16.

Un atto notarile del 16 aprile 1824 documenta la concessione in “locazione” di una farmacia con tutte le droghe in essa contenute.

Il 15 aprile 1825 Liboria Cappelluti vedova di Giuseppe Salvemini fece eseguire l’inventario degli oggetti ritrovati nella spezieria (farmacia) del defunto marito e quello dei libri del defunto Mauro Sergio Capelluti, suo padre.

Il 6 febbraio 1826 Lucia de Candia vedova del fu Raffaele Sciancalepore donò a suo nipote Graziano Candida, figlio di Nicola Candida, una serie di utensili per esercitare la professione farmaceutica. Il padre di Graziano, proprietario Nicola Candida (n. 25 gennaio 1773 - m. 26 marzo 1838), era figlio di Giuseppe Angelo Candida e di Pasquala de Viesti.

Il 4 ottobre 1842, su richiesta di Antonietta La Notte di Mauro Antonio di Bisceglie vedova del defunto farmacista Mauro Panunzio (di Niccolò e Rosa de Donato, n. 1808 - m. 12 agosto 1842), fu redatto l’inventario dell’eredità del defunto che comprendeva anche i beni ritrovati nella “spezieria” del medesimo. Il Panunzio ebbe due mogli: la prima fu Elisabetta Pappagallo, figlia del farmacista Mauro Pappagallo e di Chiara Nisio; la seconda fu Antonia La Notte di Bisceglie, figlia del proprietario Maurantonio La Notte e di Carmina Soldani. Il 21 marzo 1844 la farmacia fu venduta con tutto il suo arredo.

Il 23 aprile 1845 farmacista Giosuè Poli (n. 1801 ca. - m. 2 novembre 1877; figlio di Giuseppe Poli fu Battista e Pasqua Rosa Pappagallo) comprò due farmacie. Il 2 febbraio 1819, Giosuè Poli si era ammogliato con Grazia Rosa Candida (n. 1804 ca. - m. 30 dicembre 1829), figlia del negoziante Nicola Candida ed Elena Sciancalepore. Il 12 gennaio 1831, il farmacista Giosuè Poli (rimasto vedovo) si risposò in seconde nozze con Rosa Maria Tamborra di Terlizzi, che gli diede un maschio al quale fu imposto il nome Corrado Tommaso (n. 7 luglio 1838) che esercitò la professione di farmacista).

Il 3 ottobre 1849, per testamento rogato da notar Giuseppe Gioja, il farmacista Francesco Labianca di Bitonto (Bitonto, n. 1792 ca. - Molfetta, m. 7 agosto 1854; figlio di Gaetano e di Maria Pasquala Parente, marito di Rachela d’Andrea di Toritto, figlia del Dottor Chirurgo Michele d’Andrea e di Chiara Spano), proprietario di una farmacia, dispose eredi i suoi figli (maschi e femmine). Il matrimonio tra Francesco
Labianca e Rachela d’Andrea vide la nascita di dodici figli. Di essi citiamo i due
farmacisti:
- Giuseppe Labianca (n. 11 febbraio 1826 - m. 26 febbraio 1868). Il 2 giugno 1850, Giuseppe si unì in matrimonio con Angela Macrina Calò, figlia del defunto farmacista Francesco Calò e di Tecla Massari;
- Giovanni Labianca (n. 10 febbraio 1836). Il 22 settembre 1859, Giovanni si unì in matrimonio con Maria Porta, figlia del proprietario Raffaele Porta di Francesco Paolo e di Giovanna Gagliardi.

Per Regio decreto 10 aprile 1850, n. 1617 (Artt. 65÷93), e per Regio decreto 29 gennaio 1853, n. 39, si diede inizio a dare ordine all’esercizio delle farmacie. Poteva tenere una farmacia pubblica solo chi, dopo ottenuta la concessione (privilegiato in farmacia), ne avesse la proprietà assoluta. L’apertura di ogni farmacia era subordinata ad autorizzazione governativa. Il numero delle farmacie e quindi delle autorizzazioni non doveva essere in eccedenza ai bisogni della popolazione.

Fra una farmacia e l’altra, nei centri urbani, doveva correre una distanza non minore di 50 passi geometrici (metri 100), e di 70 (metri 140) nella città di Napoli. In difetto di tale distanza dovevano essere abolite le farmacie che si rendevano vacanti per morte del proprietario. Era vietato il cumulo di due concessioni in una sola persona. La concessione era vitalizia, salvo il diritto al figlio farmacista del concessionario, o alla vedova che fosse passata a seconde nozze con un farmacista di ottenere l’autorizzazione a proseguire nell’esercizio. In mancanza, la farmacia veniva venduta, ed era obbligo dei farmacisti viciniori di farne l’acquisto, ove non fossero altri acquirenti, con diritto a tener chiuso l’esercizio per un decennio.

To be continued…


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